sabato 23 febbraio 2013

Eppur ci si muove!



 (Disegno di Giancarlo Caracuzzo)

Ricordo quando, negli anni '80, leggevo che negli Stati Uniti andavano per la maggiore le piscine gonfiabili, per consentire alle famiglie che cambiavano frequentemente lavoro, e di conseguenza abitazione, di poterle trasportare agevolmente, da una cittadina all'altra, o da uno stato all'altro.
Per noi era una soluzione impensabile:  la casa, ereditata o acquistata, veniva considerata il punto di partenza e di arrivo di un progetto familiare, che non prevedeva mutamenti di città, neppure a lungo termine. Figuriamoci di stato.

Leggo in questi giorni il risultato di una ricerca, effettuata  su un campione di oltre 100 milioni di utilizzatori Yahoo nel mondo, compiuta tra il 2011 ed il 2013, che ha disegnato le nuove rotte migratorie degli italiani.

L'identikit del nostro emigrante dipende dalla mèta: gli Stati Uniti si confermano come polo d'attrazione di lavoratori e cervelli in fuga, l'Australia ed il Brasile sono le new-entry del mercato, dopo Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna,  ma all'orizzonte si affacciano Cina ed India e, udite udite, la Romania. Si, perchè a volare a Bucarest sono tanti italiani, ma ancora più romeni, nella migrazione di ritorno verso un paese che comunque presenta ormai più opportunità di business dell'Italia e un Pil in crescita.

E cosa vanno a fare gli Italiani? Si iscrivono alle facoltà di medicina e odontoiatria, dopo aver fallito i test di ingresso nelle facoltà italiane. Oppure aprono imprese: 32.000 aziende attive che danno lavoro a 800.000 romeni.

E poi c'è un'altra indagine, che invece ci segnala dove dovremmo trasferirci in fretta per essere più felici: il Sud America. Otto dei primi dieci paesi della particolare classifica si trovano infatti in questa parte del mondo: Panama, Paraguay ed El Salvador sono i paesi che si trovano ai tre gradini più alti del “podio della felicità”. Meno fortunati, in base ai risultanti forniti da Gallup, sarebbero gli abitanti di Singapore, Armenia e Iraq. E l’Italia? Anche noi non ce la passiamo bene: l’ “indice percentuale di felicità” si attesta al 47% (contro l’85% del sereno Panama e il 36% dell’infelice Singapore).



domenica 17 febbraio 2013

Prova a prendermi!

Sono rimasta piuttosto colpita dalla notizia che,  in Italia, un adolescente su tre è scappato di casa almeno una volta. Spesso si tratta di brevissime fughe, che durano qualche ora, e spesso i ragazzi tornano a casa spontaneamente. Per fortuna  il numero dei minori di cui si perdono veramente le tracce è piuttosto basso (alcuni nomi sono tristemente famosi, come Angela Celentano e Denise Pipitone, per non parlare di Manuela Orlandi), ma ci induce a ragionare sulla voglia dei ragazzi di lanciare dei segnali alle famiglie, probabilmente.

Mi ricordo che le pochissime volte che l'ho vagheggiata,  una fuga,  perchè magari i miei non mi concedevano abbastanza libertà,  ho sempre desistito, ma capisco ora che al di là di ogni singola motivazione, è vero soprattutto che l'assenza serve ad amplificare la presenza.

In una società dove è possibile raggiungere e contattare i propri figli premendo un tasto, avere sempre il controllo di tutto e di tutti, questa sottrazione sconvolge e atterisce i genitori. E forse i ragazzi ci vogliono far presente proprio questo. Che anche se ci siamo  a volte non siamo intimamente connessi. E che loro magari vogliono un'attenzione diversa.

In Giappone, invece, più che la fuga, i ragazzi sperimentano il ritiro sociale: l'hikikomori colpisce come una epidemia più di un milione di individui tra I 15 e I  20 anni. L’evento scatenante è di solito un problema scolastico come il bullismo, il fallimento di un esame o la fine di una storia, che induce i ragazzi a chiudersi nella propria stanza senza più uscirne, anche per diversi mesi.

E a Londra c'è l'allarme "bussing": i preadolescenti che passano abitualmente la notte sui night bus sono in aumento. Pagano il biglietto ma non devono andare da nessuna parte. Preferiscono dormire scomodamente,  su un sedile, piuttosto che a casa, in un ambiente di disagio e degrado. L'unico pericolo, dicono, è incappare in una vera gang. Dormono con un occhio solo e, appena li avvistano, cambiano rotta.



lunedì 4 febbraio 2013

Abbiamo paura? Condividiamola.




(disegno di Giancarlo Caracuzzo)


Mentre nei secoli scorsi si aveva paura soprattutto della morte, oggi si ha paura della vita. I fattori scatenanti della paura di un tempo erano molto più universali e quello che accadeva lontano da noi rappresentava l'ignoto. Diversamente oggi sappiamo tutto quello che accade in ogni angolo del pianeta, temendo per i nostri figli se un pazzo uccide dei bambini in una scuola americana, o angosciandoci se uno tsunami devasta la costa tailandese.
Ogni paura , insomma, pur essendo generalizzata, coinvolge ognuno di noi, diventando lo sfondo permanente delle nostre vite, generando un'angoscia a volte paralizzante, perchè non abbiamo antidoti contro le catastrofi nucleari, le epidemie, il terrorismo o le minacce del sistema finanziario, che assumono contorni quasi apocalittici nella maniera in cui ci vengono continuamente proposti e raccontati.
Le paure tradizionalmente nascono dall'ignoranza, ma oggi anche la conoscenza può angosciarci e farci percepire l'ansia del presente.
Come esorcizzare le paure? Con la consapevolezza,  che può trasformare l'angoscia in curiosità, non qualcosa di paralizzante, ma un fattore di progresso che spinga a cercare soluzioni per andare avanti.
E condividendola, come si fa ormai per tante altre cose materiali: la Share Economy, così viene definita l'economia della condivisione, sta aprendo nuovi orizzonti anche alla socialità. A casa di qualcuno per mangiare un piatto di spaghetti, in un negozio per fare insieme degli acquisti, al parco per prendersi in carico il cane di un altro che ci restituirà la cortesia, con il valore aggiunto di uno scambio di conoscenza e di esperienza, che si trasforma poi in relazioni: utilities in humanities.
Per non sentirsi meno soli ad affrontare le proprie paure, che sono poi anche quelle dell'altro.





venerdì 1 febbraio 2013

Luna versus Belen.

Nella seconda puntata de "Le invasioni barbariche", due donne molto note, per motivi diversi.

Luna Berlusconi non è abituata ad apparire in tv, cerca di mostrarsi tranquilla e assertiva alle sollecitazioni della Bignardi sulla sua famiglia, ma dopo un po' chiede un bicchiere d'acqua. Dice di sentirsi onorata e privilegiata per essere la nipote preferita di Silvio, ma poi si lamenta per l'accanimento dei giudici e di un certo apparato mediatico, che l'hanno costretta a fuggire negli Stati Uniti, dove faceva fotocopie per tre ore al giorno. "Ero diventata bravissima, perchè non è così semplice fare le fotocopie".
Il marito è parente alla lontana dell'economista Paolo Sylos Labini, che nel 2005 attaccò pesantemente il Cavaliere. La famiglia di lui ha ritenuto addirittura opportuno dissociarsi dal matrimonio con un comunicato al "Corriere". Ma lei si dichiara felice, nonostante tutto.
Assomiglia un po' troppo allo zio (stesso naso a patata, dice lei) e nonostante ami definirsi "la ribelle" di famiglia,  (cosa si nasconde dietro le fotocopie?)  dice :«Sono percepita come una ragazza ricca? Beh, ho avuto la fortuna a 35 anni di essere entrata nell’azienda di mio padre e in altre società, però vivo del mio", e parla dei suoi impegni manageriali al Giornale.
Su twitter c'è chi dice che ha le palle e chi la massacra. Non mi sento di pronunciarmi, ma non parlerei di Luna piena, ancora, seppure abbia 38 anni.
Due parole su Belen Rodriguez, invece, anche se se ne legge e se ne vede ovunque. Lei stessa dice di non poterselo spiegare, ma il suo nome è al top delle parole più digitate nei motori di ricerca, insieme a "cerco lavoro".  Ca vans sans dire...
Belen non ha neanche 30 anni, e non è italiana. Ma parla bene l'italiano. E dice cose intelligenti, a tratti. Avrà percorso anche lei le sue scorciatoie per diventare famosa, provenendo da una famiglia modesta, ma quando la Bignardi le ricorda le intercettazioni in cui il Cavaliere dichiarava che non aveva cervello, perchè stava con Corona, lei può permettersi di dire: "forse lo dice perchè non gliel'ho data". Questo mi basta. Vince lei.