domenica 23 novembre 2014

Le predatrici di emozioni.

Navigando su Internet alla ricerca di destinazioni turistiche è abbastanza facile imbattersi in siti e blog che incoraggiano lo "gnocca travel", il turismo sessuale maschile, con specifici consigli per quelli alle prime armi ( le tipologie di donne, i luoghi, i costi, gli approcci ecc.), fino a creare quasi dei tripadvisor  per la materia, fitti di recensioni e di dettagli.
"Corsara" - illustrazione di Giancarlo Caracuzzo

Ma anche le stime sui numeri al femminile parlano di 600mila donne occidentali (almeno 30mila italiane) che ogni anno cercano l'avventura in Kenya, Giamaica, Capoverde, Santo Domingo, Cuba, Maghreb, Tanzania e Gambia. Sono queste le mete in cima alla lista per le signore e signorine single (anche giovani),  che cercano un tuareg, una guida di un safari, un beach boy , meno romanticamente un "big bamboo".La “forma” di pagamento che usano le donne  è diversa. Di solito non c’è la tariffa per una prestazione sessuale, come accade per la prostituzione femminile. A differenza dell’uomo che soddisfa un bisogno fisico, poi, la donna tende a rispondere a una necessità di relazione. Quindi offre pasti, vestiti, drink, invia contante al beach boy al ritorno. Può arrivare anche a comprargli un appartamento. Magari lo invita per brevi periodi in Europa o in Nord America. Per il gigolò è un modo per acquisire uno status, che lo fa emergere tra i suoi ‘colleghi’. O l’unica via per emigrare in Paesi ricchi. Difficilmente, però, questi rapporti sfociano in relazioni di lungo periodo o matrimoni. In effetti quando ho visitato il Kenya, qualche anno fa, anche io ho ricevuto attenzioni garbate dall'insegnante di acquagym, nonostante fossi in compagnia di un uomo. Ho una foto ricordo insieme a lui, bello come il sole. Si lamentava che le donne europee volessero solo delle storie brevi, perchè voleva sposare un'europea e andarsene da quel posto. Mi fece un po' tenerezza, chissà che non sia riuscito nel proposito, ma la vedo dura. Perchè forse non basta solo lo slogan Once you go black you’ll never go back” a convincere.

domenica 12 ottobre 2014

Sun City: vecchiaia segregata o protetta?








Del viaggio in California potrei raccontarvi tantissime cose che mi hanno impressionato, come l'immagine dei surfisti di tutte le età che aspettano di buon mattino e per ore l'onda perfetta; la grande attenzione all'ambiente , con avvisi in ogni luogo che ammoniscono contro lo spreco dell'acqua, anche nei bagni pubblici, e  cibo "organic" pubblicizzato ovunque; oppure la paura che la natura stessa si rivolti contro l'uomo, con i cartelli disseminati sulla costa che indicano i percorsi da seguire in caso di tsunami.
Ma percorrendo in auto la Highway verso San Diego in una splendida giornata di agosto, grande è stata la sorpresa nell'apprendere che l'altissimo muro di cinta che stavo costeggiando non era a difesa di un carcere di massima sicurezza o una location militare, ma di una delle numerose "Sun City" disseminate sul territorio statunitense (la prima nacque in Arizona negli anni '60)
Avevo sentito parlare delle città per vecchi, ma vedere quel muro, per me da sempre simbolo di segregazione,  mi ha colpito molto, e sono andata a leggere un po' di notizie.
Dovete sapere che queste città non accettano residenti più giovani di 55 anni, e che la permanenza di bambini e ragazzi è rigorosamente vietata oltre i 90 giorni.
Gli anziani trascorrono così una pensione dorata, tra campi da golf, piscine e barbecue, e i seccatori devono stare alla larga, nipotini compresi. 
I giovani presenti sono forza di lavoro immigrata, paradossalmente:  camerieri, bagnini, giardinieri, infermieri,  che devono togliere il disturbo finito il loro compito. Le gerarchie sono rigide anche all’interno, e dipendono dal reddito, perchè ci sono città private più di lusso e altre più modeste,  e le case possono essere più o meno lussuose, a seconda della superficie, della rifinitura, se guardano i laghetti o se si affacciano sui campi da golf. Perché non c’è città del sole senza le sue piscine e i suoi campi da golf, naturalmente, tanto che si registrano numerosi incidenti da quando sono state immesse sul mercato golf car che sfiorano i 35 km all'ora.
Guardando alle prospettive future, quanto questa forma privata di condominio allargato potrebbe essere in fondo una soluzione , se si sta pensando di crearne anche in paesi dove il potere di acquisto delle pensioni può essere più vantaggioso?
Una città a misura di vecchio e per le esigenze dei vecchi, una città privata dove per poter attirare abitanti si dovranno offrire servizi ed emanare regole interne in sintonia con le esigenze dei residenti.
Nel dubbio mi guardo qualche brochure. 






domenica 6 luglio 2014

Paese che vai, assunzione che trovi ( la bellezza influisce sempre).

Giancarlo Caracuzzo - Lady Violet
Leggo  che l'ultima frontiera della discriminazione lavorativa è il "beautism". Nel senso che  una grande bellezza può essere una grande fortuna, anche se dipende dal Paese. Non a caso sono stati fatti degli studi ed è emerso che:
- se una ragazza italiana molto carina manda il proprio curriculum lavorativo ad un'azienda, allegando la sua foto, ha sicuramente molte più probabilità di essere chiamata per un colloquio (54% contro 7% di una candidata bruttina);
- se l'azienda è francese non conta soltanto l'avvenenza, ma la stessa candidata deve apparire elegante, curata, avere un'aria chic, perchè a parità di competenze questo influenza circa l'82% della valutazione;
- se è americana o inglese il sex appeal ha importanza, ma solo se associato a energia e aspetto sano (del genere che caratterizza per esempio Marissa Mayer e Sheryl Sandberg, approdate alla Silicon Valley con grande volontà di imporsi.)
Ma c'è anche da dire che la bellezza ha un prezzo elevato, anche solo per mantenerla, e se sei una casalinga disoccupata sarai più sciatta di chi lavora e deve curarsi, vestirsi bene, investire in cosmetici, palestre, medicina estetica, vacanze. Un circolo vizioso, insomma.
Si è arrivato a pensare che per puntare solo alla meritocrazia, assicurando equità a tutti senza lasciarsi influenzare dall'aspetto fisico, le aziende dovrebbero accettare curricula senza foto, nome ed età.
Può darsi che in futuro, insomma, verranno create, sia per i maschi che per le femmine, delle "quote brutti". Ma anche qui il rischio è dietro l'angolo: forfora, peli superflui e abiti informi saranno il nuovo modo per ottenere un buon posto di lavoro?


sabato 19 aprile 2014

Non ci sono più le bambole di una volta. Ma questa mi piace.



Flavia Caracuzzo - La leggenda del Crisantemo

Non so voi, ma io sono stata una grande amante delle bambole, con la fortuna che la mia mamma era una donna dotata di grande senso estetico, oltre che una bravissima sarta. 

Mi sono sembre sbizzarrita, quindi, a commissionarle le mie creazioni, in un tempo in cui non esistevano vestitini "pronti" da acquistare. Lei ha confezionato per i miei bambolotti e le mie bambole di tutto: dalla cuffietta da neonato all'abito da sera. 
Per quanto riguarda poi l'evoluzione dell'oggetto,  mi ero fermata alla Barbie, che in realtà non mi aveva mai appassionato, forse proprio perchè disponevo della possibilità di trasformare a mio piacimento le piccole "creature".
La povera Barbie è stata a tratti molto criticata, per esempio dalla Professoressa  A. Oliverio Ferraris -Ordinario di Psicologia dello Sviluppo presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Roma Sapienza, che qualche anno fa ha scritto un saggio dal titolo “La sindrome di Lolita”:
"La bambola classica degli anni Quaranta e Cinquanta era una bambina di due o tre anni, spesso un neonato, che aveva la doppia funzione di intrattenere e insieme avviare le bambine al mestiere di madre. Il bambolotto veniva vestito, svestito, cullato, allattato, imboccato, sgridato, baciato, aveva la sua carrozzina e il biberon. Gli abiti erano quelli dei bimbi piccoli. Negli anni Sessanta e Settanta compare la Barbie , una giovane donna, amante dell’eleganza, dei viaggi e dello sport, non più legata ai ruoli domestici tradizionali e accompagnata da Ken, il fidanzato. Barbie ha un enorme guardaroba e molti accessori per la sua toilette personale. Sebbene non sia un tipo materno, Barbie può avere dei figli; si tratta però di bambolottini di dimensioni molto ridotte che certamente non possono essere abbracciati e cullati. Una bambina che gioca con una bambola tradizionale e una che si intrattiene con la Barbie giocano in modi differenti. La prima si cala nel ruolo di mamma e si affeziona al bambolotto. La seconda si identifica con un suo alter ego «grande» e sviluppa delle aspirazioni per sé. La Barbie ha oggi una temibile concorrente nelle Bratz, che hanno fatto la loro irruzione sul mercato nel 2001. Le Bratz propongono un modello marcatamente diverso non solo dalle bambole tradizionali ma anche dalla Barbie: non trascorrono più il tempo in piscina, in viaggio e con gli amici, ma a preoccuparsi del proprio look e a fare shopping, uno shopping estremo che avvia le bambine alla carriera di consumatrici.”

...“Le imparano a truccarsi a cinque-sei anni, ad atteggiarsi a vamp a sette-otto, a fare shopping a otto-nove. Sostenute spesso in questi «gusti» dalle madri, che prendono a modello le star e le loro figlie, testimonial bambine di importanti case di moda.


Devo dire la verità, soltanto qualche giorno fa ho sentito parlare di American Girl:



"Quello di American Girl è un caso unico nel business delle bambole. Nate da un’idea di Pleasant Rowland, un’insegnante che voleva coniugare divertimento e studio, tali bambole sono ispirate alla storia degli Stati Uniti. Alte 45 centimetri, rappresentano bimbe di 9 anni caratterizzate per appartenenza etnica e periodo storico: dall’indiana alla colonialista, dalla pioniera all’orfana della Grande Depressione sino alla figlia della Guerra di Secessione. L’obiettivo era quello di far apprendere la cultura americana e porre l’accento sulle origini di ogni gruppo etnico e sociale. La trovata ha riscosso successo presso le ragazzine tra i sette e i tredici anni al punto che Mattel l’ha fatta propria arricchendo l’idea della bambola da collezione con un universo esperienziale sintetizzato compiutamente negli American Girl Place, ambientazioni in cui queste bambole imitano la vita. Il primo negozio, quello di Chicago, è sorto nel 2003. A questo hanno fatto seguito quelli di New York e di Los Angeles. "
Com'è strutturato il negozio?


1 level


Lo store è articolato su tre piani. Quello underground è adibito alla presentazione della collezione storica. Un museo delle bambole nelle loro varie etnie e periodi storici: il luogo richiama soprattutto le nonne che vi rivivono il loro passato. La carica simbolica è enfatizzata dalla presenza di opere d’arte e di un teatro in cui baby-attori rappresentano scene di vita al femminile. 

0 level

Il piano terra è lo spazio dedicato ai libri. Ogni bambola ha a corredo un libro che ne racconta l’infanzia e la vita. È questo il luogo dove avviene l’edutainment (education + entertainment) che è il cuore del brand. Attraverso queste letture le bambine apprendono la storia del proprio paese, ma anche i problemi della vita quotidiana: i rapporti con i genitori e le amiche, le difficoltà di un trasloco o quelle della scuola.
+1 level
Al terzo piano si trova la collezione American Girl Today, le bambole di ultima generazione che ritraggono l’americana modello di oggi: sport elitari, bellezza e convivialità. Un modello che va a ruba presso le bambine appartenenti alle classi socio-economiche più alte. Inoltre è questo lo spazio dei servizi a pagamento: parrucchiere, sala da tè e ospedale per le bambine e le loro amiche.



Il motto è "just like you", proprio come te, ossia le bambine possono creare la bambola del cuore a propria immagine e somiglianza: con gli occhiali o l'apparecchio, la pelle bianca o nera, i capelli biondi, castani o rossi, corti o lunghi, mossi o ricci, gli occhi azzurri o scuri. E ancora bambole sportive, amanti della natura o degli animali. Tutto sta nel trovare la propria "gemella".
La povera Barbie finisce quindi in soffitta,  nel Paese dove spendere e far spendere è quasi un'arte. E l'American Girl Place sembra il posto per eccellenza, anche se i prezzi non sono certo popolari (si parte dai 120 dollari per la bambola, per poi proseguire con accessori e vestitini non meno cari). Ma figuriamoci se questo scoraggia i genitori. 
Sono sincera, una visita, se mi trovassi da quelle parti, ce la farei, rispolverando la bambina che è in me. :-)

domenica 2 marzo 2014

Se il Museo non è più un tempio.


Flavia Caracuzzo - Pinocchio e la balena.




Ne esistono ancora di musei così: luoghi vecchi, polverosi, noiosi, lontani dalla vita reale. 

Ma quelli che hanno più successo sono cambiati radicalmente, diventando, oltre che vetrine per collezioni e depositi culturali, posti dove la gente si trova a proprio agio, interagisce e discute.

Le statistiche di tutto il mondo confermano che il numero di visitatori è cresciuto in maniera esponenziale. Per fare un esempio,  il Louvre di Parigi, il museo più famoso e classico del mondo, nel 2012 ha avuto un milione di visitatori in più rispetto al 2011, nonostante  le persone hanno più scelta che in passato su come trascorrere il loro tempo libero, e anche attraverso la televisione o internet, possono accedere ad ogni cosa attraverso un clic.

Allora perchè questo grande entusiasmo? Forse semplicemente perchè è aumentato nel mondo il numero di persone con un grado di istruzione superiore.  Tanto che molti dei musei classici si sono trasformati da "sobri contenitori" a "compagni esuberanti", con il sostegno di amministratori locali, che vedono le grandi collezioni un’attrattiva per i turisti; degli urbanisti, che vedono la possibilità di ridare vita ai quartieri degradati; dei ricchi, che vogliono mettere il loro denaro al servizio della filantropia, lavandosi anche la coscienza; infine dei giovani stanchi di altre forme di intrattenimento.

Anche nei paesi emergenti la costruzione di nuovi musei è in aumento, soprattutto dietro la spinta dei governi, che vogliono offrire una immagine culturalmente più sofisticata, vedendo i musei come simbolo di benessere e fonte di istruzione per i loro cittadini, oltre che attrazione per i turisti stranieri, come avviene per esempio in Qatar, che sta investendo massicciamente in nuove costruzioni, o in Cina, che tra non molto avrà quattromila musei:  sono un quarto di quelli degli Stati Uniti, ma sta cercando di mettersi al passo, visto che negli anni cinquanta contava solo 25 musei.

L'unico paradossale inconveniente è che molte nuove strutture si ritrovano senza collezioni nè curatori.

E allora cosa aspettiamo? Di sicuro un comodo sistema per far soldi,  in futuro,  sarà prestare le nostre opere d'arte alle sfornite e ricche gallerie straniere.







domenica 16 febbraio 2014

Lavori forzati come sovrapprezzo all'idiozia?


Pinocchio e la Balena - Giancarlo Caracuzzo



Non è in un cortile di Sing Sing, neanche a San Vittore, ma il ragazzino che pulisce, raccatta rifiuti, mette ordine con scopa e badile,  sta scontando una pena nella sua scuola media, in provincia di Venezia.
In una Italia non lontana nel tempo per lui ci sarebbe stata probabilmente una pesante sospensione dalle lezioni, ma stavolta va diversamente: si è deciso che dovesse essere impiegato in lavori socialmente utili. La pena alternativa è stata caldeggiata dal preside, dagli insegnanti, ma soprattutto dai suoi genitori.
La novità è proprio questa. In questo piccolo paesino, ma anche altrove,  padri e madri non difendono più a prescindere la "creatura", ma accettano di considerare una seconda ipotesi, a volte più scomoda, rendendosi finalmente conto che una punizione può servire più delle arringhe difensive, di quel "metta giù le mani da mio figlio o chiamo il mio avvocato" o "la scuola non sa fare il suo mestiere", tanto di moda negli ultimi anni.
Certamente è troppo presto per dire che l'atteggiamento iperprotettivo e complice dei genitori stia virando all'indietro, né sarebbe opportuno regredire al tempo in cui alla punizione - magari corporale - degli insegnanti, si aggiungeva anche un'altra razione di sberle in famiglia.
Questi per me sono i primi segnali di rinsavimento collettivo e di buonsenso,  al punto di accettare che a sbagliare possa essere nostro figlio, e che se ne assuma la responsabilità, perchè a casa non ci sono più individui sempre pronti a giustificare e a cavare dai guai.
Ed un po' di sano lavoro come sovrapprezzo alle idiozie non mi sembra male, invece delle "comode" (per i ragazzi) sospensioni dalla lezioni.




domenica 9 febbraio 2014

Quando l'Oscar ha un peso.




Copertina di Giancarlo Caracuzzo


Certo, non è una regola, ma quando un attore opera delle trasformazioni clamorose sul suo fisico, le possibilità che vinca un Oscar, o che venga candidato a vincerlo,  aumentano sensibilmente.

L'ultimo caso è quello di Matthew McConaughey, che interpreta una storia vera, accaduta a metà degli anni '80, quando i farmaci contro l'Aids erano in fase sperimentale, e lui, nei panni  di un cowboy, tenta cure alternative. Pare che sia bravissimo (il film non l'ho visto), ma per interpretare al meglio l'evoluzione della malattia ha perso addirittura 20 chili. Lui, che faceva il belloccio nelle commedie leggere, è tra quelli in pole position per una statuetta.
E nello stesso film, "Dallas Buyers Club", anche Jared Leto, nel ruolo di un transessuale,  si è sottoposto ad una ferocissima dieta, arrivando a pesare 51 chili. Anche lui nominato come miglior attore non protagonista.

Ma non solo dimagrire funziona. Christian Bale, nel ruolo di truffatore nel film "American Hustle", si è "dovuto" appesantire di 20 chili, e il 2 marzo, nella notte degli Oscar,  sapremo se ne è valsa la pena, perchè nel frattempo l'ingrassamento improvviso pare gli abbia provocato un'ernia del disco.

I casi del passato hanno sempre portato bene. Vi ricordate Natalie Portman, arrivata a 43 chili, per interpretare "Il Cigno Nero"? E Charlize Theron, con 15 chili in più in "Monster"? Tutte e due portarono a casa la statuetta.

Ma uno dei più "ingrassati" della storia del cinema è stato sicuramente Robert De Niro, che per il ruolo di Toro Scatenato, nel 1980, aumentò di ben 25 chili.




domenica 26 gennaio 2014

Meglio una omelette di larve fresche o una torta di grilli? Conviene abituarci all'idea.

Apprendiamo che gli Italiani, tra i primi fruitori di quella che viene definita "cucina mediterranea", a causa della crisi stanno diminuendo drasticamente il consumo di frutta e verdura,  e le famiglie, rispetto all'anno 2000,  mettono nel carrello della spesa 100 kg in meno di prodotti ortofrutticoli ogni anno.

Il dato è abbastanza preoccupante, soprattutto perchè il consumo degli alimenti freschi si è ridotto addirittura di più di quella che viene considerata dall'Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) la soglia minima per preservare la salute , fissata in 400 grammi al giorno pro-capite.

Illustrazione di Giancarlo Caracuzzo
Ma niente paura: ci verrà in soccorso l'ento-food, il cibarsi di insetti,  nuova frontiera dell'alimentazione su scala mondiale: basso o nullo impatto inquinante, basso costo di produzione e di consumo, alto valore nutrizionale dell'insetto nelle sue sterminate varianti (circa 1900).  E non sarebbe neanche una grande novità, visto che per esempio le locuste erano regolarmente utilizzate nella Grecia antica, mentre i Romani mangiavano le larve di un insetto che chiamavano cossus. E sappiamo anche di cosa sanno questi insetti: la cavalletta ha un sapore tenue, ma è consigliabile asportarne l'ala prima di mangiarla, perchè di difficile masticazione. Il baco da seta ha un gusto erbaceo. Il grillo si frantuma in bocca e di solito va fritto. Quella più sorprendente è la mosca domestica: ha un sapore che ricorda vagamente quello della panna.

Marco Ceriani, esperto di nutrizione e benessere, per illustrare il pregiudizio che c'è nei confronti del nutrirsi di insetti cita Darwin, che si stupiva del fatto che la sbrodolatura della minestra sulla barba fosse recepita come disgustosa, mentre la barba e la minestra, prese singolarmente, non lo fossero.

Ma non mi ha convinto molto, devo dire.


domenica 19 gennaio 2014

Non voleva diventare una velina, ma una grande atleta.







L'equilibrista - Giancarlo Caracuzzo
Di lei forse sarebbero state scritte solo due scarne righe su Wikipedia: Era un'atleta somala, nata nel 1991 in una famiglia povera di Mogadiscio.

E andando su Youtube e digitando il suo nome,  Samia Yusuf Omar, si può ancora vederla gareggiare nei 100 metri, snella, le gambe magre, lo sguardo serio, alle Olimpiadi di Pechino del 2008.

Samia, che si nutriva soltanto di riso e cavolo lessato, arrivò ultima, dietro alle muscolosissime e allenate atlete russe e cinesi, ma decise che voleva partecipare alle Olimpiadi di Londra del 2012.

A Londra però non arrivò mai, perdendo la vita nel mare che la divideva da Lampedusa, dopo essersi imbarcata su una di quelle carrette che riservano uno spicchio di speranza a tutti. La sua era quella di potersi allenare e crescere in un Paese che reputava ricco e fortunato.

La sua piccola celebrità è arrivata dopo la morte. Uno scrittore, Giuseppe Catozzella,  ha pubblicato un libro imperniato sulla sua storia, e presto verrà girato anche un film: i muri scrostati della sua scuola, i pesi fatti con le lattine di coca cola riempite di sabbia, l'unico bagno della sua vita alle Olimpiadi di Pechino. 

E poi l'agonia della guerra, la morte del padre, l'oppressione degli integralisti, le soste in semi-prigioni, in attesa che un parente mandi i soldi per fuggire in Europa,  l'ultima terrificante tappa verso la morte.

Samia ora è un po' più famosa.




sabato 4 gennaio 2014

Con i saldi anche l'Europa in vendita?





Il toro di Wall Street
Il 2013 ed il 2014 potrebbero essere ricordati come gli anni in cui in Europa si mette in vendita un po' di tutto: beni naturalistici, monumenti, fino ad arrivare al passaporto.
In un dettagliato articolo del quotidiano britannico The Independent si cita il caso più eclatante: la cittadinanza europea concessa da Malta. Il governo della piccola isola ha infatti deciso, da un paio di mesi, di mettere in vendita il suo passaporto, per una cifra che oscilla tra  650.000 euro ed un milione.
A poco è valsa la levata di scudi da parte dell'opposizione nazionalista, visto l'enorme valore per le entrate che rappresenta questa attività di vendita.
Se si pensa che i greci stanno piazzando isole dall'anno 2010,  hanno venduto Skorpios per 100 milioni di euro al magnate russo Ryobolovlev ed un intero arcipelago nello Ionio ad un emiro del Qatar per 8,5 milioni di euro, e i polacchi hanno messo in vendita almeno una cinquantina di dimore storiche, cosa vuoi che sia vendere un passaporto?
E l'Italia? Siamo un po' in controtendenza. Il magnate neozelandese Michael Harte ha acquistato la meravigliosa isola di Budelli, dell'arcipelago della Maddalena,  per un importo di 2,9 milioni di euro, ma gli ambientalisti hanno raccolto 76.000 firme per chiedere al governo di ricomprarla e proclamarla bene comune.
Allenata da ore e ore di partite a Monopoli, nelle feste appena passate,  penso che ci converrebbe tenerla per tempi più duri. Di sicuro aumenterà di valore.